Il cattivo stato di conservazione è reato


Tutto era partito dalla condanna inflitta dal Tribunale di Nola ad un commerciante di Pomigliano d’Arco, condannato per aver detenuto per la vendita tre cassette di verdura esposta all’aperto e sottoposta agli agenti atmosferici ed inquinanti.

Il ricorrente, tra i motivi di ricorso, aveva eccepito la circostanza che il Tribunale avesse basato la propria decisione sulle sole dichiarazioni di alcuni testimoni, senza effettuare verifiche ed accertamenti tecnici sull’effettivo stato di conservazione degli alimenti. In sostanza, quindi – esponeva il ricorrente – il giudice avrebbe fatto esclusivo riferimento alla natura di reato di pericolo della violazione contestata, anticipando quindi il verificarsi un concreto danno alla salute.


La Corte ha, quindi, rigettato il motivo di ricorso, sostenendo che gli esiti dell’accertamento effettuato presso l’esercizio commerciale erano da soli sufficienti ad affermare la responsabilità dell’imputato. 
La sentenza (n. 6108/2014) afferma quindi che la contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, perché l’interesse protetto dalla norma è l'”ordine alimentare”. Ne consegue che, per quanto concerne la sussistenza del reato di cui all’art. 5, lett. b) Legge n. 283/62, si rilevano esclusivamente le modalità irregolari di conservazione delle sostanze alimentari già di per sé sufficienti ad integrare l’ipotesi di reato di cui alla norma sopra citata, e non già un accertamento sulla commestibilità del prodotto e sul verificarsi di un danno alla salute del consumatore, in quanto diverso è il bene che la suddetta norma intende tutelare. Non è, dunque, necessario che il cattivo stato di conservazione si riferisca alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, alle regole di comune esperienza.I giudici della Suprema Corte hanno, invece, ritenuto che la sola esposizione all’aperto potesse condizionare lo stato di conservazione degli alimenti, in violazione della disciplina dettata dalla legge del ’62. Secondo la Corte, infatti, “l’accertamento dello stato di conservazione di alimenti detenuti per la vendita, non richiede né un’analisi di laboratorio né una perizia, in quanto il giudice di merito può ugualmente pervenire a tale risultato attraverso altri elementi di prova, quali le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e quindi rilevabile da una semplice ispezione”, come tra l’altro già ribadito da precedenti pronunce, quali Cass. Sez. 3 n. 35234, 21 settembre 2007; Sez. 3 n. 14250, 21 aprile 2006; Sez. 6 n. 7521, 30 maggio 1990.

CNA

Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 17 gennaio – 10 febbraio 2014, n. 6108

(Presidente Teresi – Relatore Ramacci)

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Noia, in composizione monocratica, con sentenza dell’11.4.2013 ha condannato B.M. alla pena dell’ammenda riconoscendolo colpevole della contravvenzione di cui all’art. 5, lett. b) della legge 283/1962, per aver detenuto per la vendita 3 cassette di verdure di vario tipo in cattivo stato di conservazione (in Pomigliano d’Arco, 29.3.2009).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, lamentando che il giudice del merito sarebbe pervenuto all’affermazione di penale responsabilità sulla base di una motivazione meramente apparente, valorizzando la sola collocazione all’aperto degli alimenti, ritenuti esposti agli agenti atmosferici e senza considerare la presenza di segni evidenti della cattiva conservazione o l’inosservanza di particolari prescrizioni finalizzate alla preservazione delle sostanze alimentari.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
Come è noto, la contravvenzione in esame vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (SS.UU. n. 443, 9 gennaio 2002, citata anche nella sentenza impugnata) si tratta di un reato di danno, perché la disposizione è finalizzata non tanto a prevenire mutazioni che nelle altre parti dell’art. 5 legge 283/1962 sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura. Conseguentemente, si è escluso che la contravvenzione si inserisca nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti gradualmente più gravi in relazione alle successive lettere indicate dall’art. 5, perché, rispetto ad essi, è figura autonoma di reato, cosicché, ove ne ricorrano le condizioni, può anche configurarsi il concorso (in senso conforme, Sez. III n. 35234, 21 settembre 2007; difforme Sez. III n. 2649, 27 gennaio 2004).
Le Sezioni Unite, sempre nella decisione in precedenza richiamata, hanno anche precisato che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza (conf. Sez. III n. 15094, 20 aprile 2010; Sez. III n. 35234, 21 settembre 2007, cit.; Sez. III n. 26108, 10 giugno 2004; Sez. III n.123124, 24 marzo 2003; Sez. IV n. 38513, 18 novembre 2002; Sez. III n. 37568, 8 novembre 2002; Sez. III n. 5, 3 gennaio 2002).
Conformandosi al primo dei principi appena ricordati, altra pronuncia (Sez. III n. 35828, 2 settembre 2004) ha successivamente chiarito che la natura di reato di danno attribuita dalle Sezioni Unite alla contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poiché l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura.
Si è inoltre affermato che è comunque necessario accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze (Sez. III n. 439, 11 gennaio 2012; Sez. III n. 15049, 13 aprile 2007) escludendo, tuttavia, la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione (Sez. III n. 35234, 21 settembre 2007, cit.) ed affermando che il cattivo stato di conservazione dell’alimento può assumere rilievo anche per il solo fatto dell’obiettivo insudiciamento della sola confezione, conseguente alla sua custodia in locali sporchi e quindi igienicamente inidonei alla conservazione (Sez. III n. 9477, 10 marzo 2005) ed è configurabile anche nel caso di detenzione in condizioni igieniche precarie (Sez. III n. 41074, 11 novembre 2011).
4. Considerati tali principi, che il Collegio condivide pienamente, deve rilevarsi che, nella fattispecie, ad un corretto richiamo della giurisprudenza delle Sezioni Unite, il giudice del merito ha fatto seguire l’altrettanto corretta affermazione secondo la quale la messa in commercio di frutta all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti costituisca una violazione dell’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari e rispettare l’osservanza di disposizioni specifiche integrative del precetto.
Il giudice fonda il proprio convincimento in base a quanto riferito dal teste escusso, il quale ha evidenziato che tre cassette di verdura erano esposte all’aperto e, pertanto, a contatto con agenti atmosferici e gas di scarico dei veicoli in transito.
Tale diretto accertamento da parte della polizia giudiziaria risulta del tutto sufficiente a giustificare l’affermazione di penale responsabilità, evidenziando una situazione di fatto certamente rilevante a tal fine la cui sussistenza risulta peraltro confermata dallo stesso ricorrente, laddove, nell’atto di impugnazione (pag. 2 del ricorso), si riconosce che la verdura era esposta per la vendita sul marciapiede antistante l’esercizio commerciale.
5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.