I prodotti alimentari del territorio 1


Partiamo dalla notizia resa nota dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali relativa alla conclusione della consultazione pubblica online tra i cittadini sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari. Sono stati oltre 26.500 i partecipanti che hanno espresso il proprio punto di vista, rispondendo ad un questionario con 11 domande sull’importanza della tracciabilità dei prodotti, della indicazione dell’origine e della trasparenza delle informazioni in etichetta.

Oltre il 96% dei consumatori ha dichiarato che è molto importante che sull’etichetta sia scritta in modo chiaro e leggibile l’origine dell’alimento e per l’84% è fondamentale ci sia il luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione. Per 8 italiani su 10 assume un’importanza decisiva al momento dell’acquisto che il prodotto sia fatto con materie prime italiane e sia trasformato in Italia, a seguire il 54% controlla che sia tipico, il 45% verifica anche la presenza del marchio Dop e Igp, mentre per il 30% conta che il prodotto sia biologico.

Il Codice doganale comunitario (450/2008), del 23 aprile 2008, prevede che: «Le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più Paesi o territori sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subìto l’ultima trasformazione sostanziale» (art. 36).

La provenienza di un prodotto alimentare, nel caso specifico dell’Italia, riguarda quindi anche tutti quei prodotti che sono considerati “Made in Italy” ma che sono realizzati con materie prime provenienti da altri paesi. Nel settore alimentare potremmo fare tantissimi esempi, uno fra tutti la pasta, che molto spesso viene realizzata combinando grano italiano con grano proveniente dall’estero. La qualità della pasta italiana deriva non tanto dall’origine dei grani utilizzati (che sin da tempi storici sono anche di provenienza straniera), bensì al know-how italiano e all’arte dei maestri pastai italiani, che si concretizza principalmente nelle fasi di impasto, taglio, trafilatura ed essiccazione. A monte di tutto questo c’è anche la scelta dei grani, che per ottenere una pasta di qualità viene effettuata non tanto sulla base dell’origine, quanto soprattutto in base alle caratteristiche merceologiche, chimiche, organolettiche.

Per questo motivo sul mercato saranno sempre presenti prodotti “Made in Italy” dal punto di vista della produzione (letteralmente prodotti in Italia) e prodotti “Made in Italy” perché realizzati in Italia adoperando materie prime esclusivamente nazionali (definiti anche prodotti 100% italiani).

Da più parti si sta cercando di trovare sistemi di tutela, perché i prodotti italiani non siano scambiato con prodotti a basso costo che portano subdolamente etichette italiane. Tutto ciò che è italiano è da copiare, perchè tra essi è molto difficile trovare un articolo non degno da creare una catena per poterlo falsificare. Si chiede a gran voce alla Comunità Europea di poter ottenere e promulgare delle leggi ad hoc per la salvaguardia dei prodotti italiani, ma è proprio dalla Comunità europea che vengono emanate leggi che soffocano i mercati italiani in favore di prodotti di altri paesi, anche al di fuori dell’Europa.

Nel frattempo si sviluppa il fenomeno della contraffazione come dimostra il crescente fenomeno dell'”italian sounding“: frequentando gli esercizi commerciali dei diversi continenti è abbastanza facile trovare in vendita alimenti italiani e alimenti di produzione straniera, ma che richiamano quelli italiani. Ci sono prodotti realizzati da aziende tedesche ed australiane che, avendo in etichetta la stampa di una piccola bandiera italiana e qualche parola “giusta”, ingannano, di fatto, il consumatore. Chiaramente l’intento è di ingannare il consumatore che spesso non è a conoscenza della differenza fra prodotti di qualità e pallide imitazioni. Poiché le imitazioni vengono comunque vendute ad un prezzo leggermente inferiore rispetto agli originali, fanno una concorrenza sleale e procurano un ingente danno economico al nostro paese. In particolare la contraffazione ed i fenomeni di “italian sounding” nel 2013 hanno permesso al falso “Made in Italy” di fatturare intorno ai 60 miliardi di € a fronte dei circa 30 miliardi di € ottenuti dai prodotti originali.